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Sergio Rabitti

Seduta libera

L'arguzia pungente di un umorismo sagace sorprende di ilarità irriverente le composite nature igieniche e le surreali visioni sanitarie di toilette deodorate, accentuando il sapido spunto goliardico del gesto  allusivo, irridente e liberatorio che descrive con  accurato esercizio stilistico ed armonica composizione classicheggiante gli utensili, i detergenti, gli accessori del water. In una società irrigidita nella stitica accettazione passiva di regole predefinite dentro le incrostazioni calcaree di una patina qualunquista di superficiale conformismo acquiescente, l’unica parentesi genuinamente umana, scevra di ogni fittizia sofisticazione,  di ogni contraffazione strumentale, resta  il  rilasciamento dello sfintere in un creativo abbandono espulsivo che cessa le roboanti e asfittiche proposizioni enfatiche dei parolai politici, le nocive esalazioni acide dei venditori di fumo, le lassative logorree retoriche di un rimestato intellettualismo alla page.

Senza indugiare in facili citazioni sulla  fase anale di un freudismo improbabile, nè richiamando ascendenze indirette con l’acredine dell’invettiva anticonsumista di Piero Manzoni in scatoletta, o peggio, con l'impegnata battaglia nichilista dell'orinatoio rovesciato di Duchamp, provocatore dada, propendiamo con Rabitti per lo scanzonato divertissement del purgante dileggio, della burla grottesca e verace, e sosteniamo il tacito ammonimento dell’artista che suggerisce di conservare una fiorita allegria eversiva almeno nell’intimità della defecazione quotidiana, rituale demiurgico collettivo, di certo più nobile di certe pregiudiziali ipocrisie perbeniste, capace di sottrarre con urgente naturalezza  al controllo intrusivo di una impettita aristocrazia culturale che ci vorrebbe schifiltosi censori del gusto personale, la facoltà di esprimere secondo libertà, sul comodo trono del nostro privato potere, il talento salubre e grato di farlo come più ci piace.