La prospettiva presbite di lontananze nitide scolora il dorso glabro di sabbie asperse sulle venete piane d'onice su cui aleggiano aperti piumaggi d'angelo, serici cirri d'ovatta bagnati dal languido deliquio di distanze imprecisabili invase dal chiarore diffuso in cui Venezia celeste si allontana, di là dall'onda che la distanzia dalla penisola terrena, si maschera di sfarzosi paramenti di segreti palazzi, si staglia nel fulgore raggiante di sbiancati campielli, si avvolge di plumbei drappeggi veleggianti tra le quinte di arcane penombre lagunari.
Sfilano le delicate sospensioni aeree di stemperate suggestioni diluite dall'umidore finissimo di borotalco che cosparge di slavate "polveri d'acqua" le stilizzate rappresentazioni di promontori essenziali e assoluti, il cui empito soave di levità insostenibili mantiene in bilico sull'evanescenza lirica di un paesaggio accennato, la serpentina fuggevole dell' orizzonte ideale, tratteggiato nella rifrazione di un'infinità capovolta, innalzato nell'intermezzo scenico dell'incipiente dissolvenza di un'incantata sparizione.