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Miro Bonaccorsi

Finis Terrae: geografie del secolo sconfinato

Le girandole abbarbaglianti di  accensioni luministiche di rutilanti pirotecnie solari, sgranano grappoli di scintille in lucciole d'incendio sull'intrico di roveti e cespi, sugli arbusti di legni grafici e sugli impasti di resine pittoriche, sui pigmenti rampicanti di verande che accentuano il riverbero di raggi oblunghi, sul limitare di radure e declivi, su spianate di valli glabre e crinali di monti cisposi, di qua dal folto della barriera boschiva,  che occlude al pensiero l'invisibile costellazione chimerica del futuro, e accora di libertà l'ignota traiettoria che simula in volo radente la farfalla, sull'ala fiorita dell'effimero. Effervescenze  di cobalto  spumeggiano sul  talco salmastro di battigie vulcaniche, fra pietre laviche erose dall'alito eolico, su sbuffi soffici di bollori sulfurei, sulle macchie selvagge di zagare, versate dal carro apollineo radioso di cadmio. Oltre la risacca che distanzia la penuria schiva di orizzonti archetipi di terra piatta, perimetrali all'imponenza delle colonne d'Ercole, si staglia Zante,   cullata dal "greco mar" e geme Didone abbandonata, volgendosi alla pira.

"Eppur si muove", lenta, la deriva dei continenti, si agitano le  maree dell'emisfero opposto, pulsa la galassia e si espande l'universo a premere contro  nuove balaustre di paradigmi scientifici, affacciate su un infinito ulteriore ma ugualmente falsificabile, avvolto anch'esso dalla sinusoide di un mistero iperuranio: una cartografia dei territori di confine del continente interiore,  tratteggia il diagramma di flusso delle correnti psichiche di una intermittente rimembranza che zampilla ad irrorare i subitanei incantamenti metafisici, in una mappatura rabdomantica di lucida prefigurazione dei fulcri vitali energetici, che raccordano il tracciato preconizzato delle fasi di un divenire individuale e metastorico. Volteggia su terre rasate l'aere slargato di luoghi mentali,  in cui echeggia il rintocco di tempi conclusi, nel computo algebrico di meridiane elettroniche, di clessidre digitali, di pendoli cibernetici, sgomenti dallo scoccare di civiltà bimillenarie  protese sul ciglio di una incipiente Natura virtuale, percorsa da legionari erratici di regioni telematiche, solcata da caravelle multimediali in acque interattive.

Riabilitare il topos naturalistico nella sua accezione serenante di ispirazione classicista, superando dialetticamente la deflagrante rottura operata dalle Avanguardie storiche, e rintracciando un nesso eziologico con gli esiti di certo "realismo magico" da un lato e con le tesi più moderate della Scuola Romana dall'altro,   si coniuga in Bonaccorsi con la propensione per la vibrante tensione espressionista dell'ultimo Cezànne,  ancora intrisa dell'empito soave di un'ascendenza patetica, allo scopo di replicare all'obiezione concettuale di un vacuità della riproduzione mimetica,  sopendo al contempo le facili tentazioni accademiche e  minimaliste, con l'urgente rivendicazione di un nuovo rinascimento che ostacoli l' estromissione semantica dell'umano dagli assunti dell'arte tecnologica.