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Miro Bonaccorsi

Sub Lumine

La vertigine fenomenica di una chiarità protratta, che resiste intatta oltre il limite percettivo dell’effetto di saturazione ottica, traduce in apoteosi di luce assoluta la prospettiva aperta di orizzonti allargati sull’esaltazione di un’estate perenne, stagione onirica mnestica che imprime alla variegata mescola di calde resine pittoriche la limpida sostanza radiosa del pulviscolo solare.

Effervescenze di cobalto raffinano il talco salmastro di battigie vulcaniche, agavi aguzze s’innalzano fra pietre laviche erose dall’alito eolico, ma ogni sconfinato orizzonte di ameno luogo trasognato è pallido simulacro a confronto della tenerezza luminescente del ricordo rincorso, in cui dardeggia rutilante di cadmio la sponda incomparabile di Tindari, cullata dall’onda mitica del “greco mar” che idealmente la separa dalla pira a cui si volge gemente, l’abbandonata Dido, nella ruggente veemenza tragica dell'impetuoso epos latino.

Oltre la macchia selvaggia radente il crinale gibboso di monti cisposi e l’arbusto ritorto infisso sul dorso riarso di valli glabre, si allineano le strisce bicolore del tendone rampicante, che accentuano il riverbero abbarbagliante di raggi obliqui sulle scorze screziate esposte nella polposa giocondità agreste di un meriggiare fruttato, suadente di stordimenti odorosi di zagare assorte tra le messi sgranate, nell’allegro brusio della colazione all’aperto.

Le icone teatrali sospese nel solipsismo di monologhi interiori affondati nel fluido di un palpitante rosso carminio, sanguinoso di intense vicende emotive, si stagliano nella matura vibrazione espressionistica del vivace grafismo, grave dell’empito tetro di una vaga ascendenza patetica, agile nel lirico afflato di intimiste effusioni sentimentali.

Riabilitare il topos della serenante edificazione naturalistica di ispirazione classicista, sfrondata di manierati accademismi, rintracciando un’ascendenza traversa con certo realismo magico da un lato e con gli esiti più moderati della Scuola Romana dall’altro, si coniuga in Bonaccorsi con la propensione per un'indagine noumenica ricapitolare del dato sensorio, che rivendica, superata dialetticamente l’esperienza deflagrante delle Avanguardie storiche, l’approdo ad una figurazione originale, volta a restituire, sulla scorta della meditata lezione impressionista dell'ultimo Cezanne, una precipua identità paesista all'evanescente levità del Genius Loci, nell'esercizio mimetico di un estatico en plen air, sublimato dall'eterea visione eternante del natìo suolo solatìo.