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Gabriella Muzio

Fi-lamenti

Sulla lugubre oscurità umbratile affilata di livide rifrazioni di luministici pleniluni, che pietrificano le fenditure scabrose di lacerazioni esistenziali inquadrate dal nitido neon delucidante della abduzione morale, serpeggiano vischiose liane prensili di viscide angosce estensibili, scudiscianti nervature ritorte nella sinuosità di ctonie notti compatte di cupi misteri discontinui, giustapposti nella spettrale trama aracnide di tenebre rade e penombre di latebre filamentose.

Lineari traiettorie speculative forzate nell’angolo acuto di strettoie concettuali che schiacciano cavedi nella distorsione prospettica di sbocchi trascendenti impediti, osano il balzo di una proiezione spaziatrice che valica il confine ontologico di un preordinato approccio definente bloccato nell’asettica quadratura razionale limitante di un rovesciato infinito chiuso, colmando lo straniamento sistematico in cui galleggia la desolata suggestione metafisica dechirichiana di fondali architettonici disabitati, con la plasmabile materia sfusa di sogni elastici, in mezzo a cui si muove l’ambiguità surrealista di torbide deformazioni ossessive già proprie alla delirante carica illusionistica del Dalì più psicanalitico, immerse nella dimensione di un indefinito aperto su ampliate verità suscettibili di analogiche mutazioni semantiche.

Nella dilatazione simbolica di questo inconscio iconico in cui sciaborda la deriva fluttuante di una deviazione onirica, di una deiezione rimandata di emergenti energie libidiche trasposte nel codice metaforico di personificazioni visionarie, ancestrali entità abnormi, mostruosità emergenti da un bestiario fantastico sul modello di Tanguy, catalizzano nella degenerazione dei propri connotati disfatti, l’ondulazione magnetica di vibratili tensioni trattenute, aspirano nel mantice di un primordiale bioritmo rallentato di funzionalità organiche elementari le eterogenee morfologie amebiche di molli bozzoli liquidi di oceanici anfratti placentari.