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Corrado Gai

Nuovo Ade

Sul carbonico amalgama di fondali bituminosi, nella viscida fanghiglia rappresa in granuli di sedimenti porosi, macera la scoria sulfurea di melmose escavazioni, erutta l’irruenza espressionista di veementi macule cromatiche, fibrose campiture di orizzonti liquefatti, deborda vischiosa in rivoli di grassa mescola materica il getto denso, impregnato di torbidi fluidi magmatici, solidifica in corrugate stratificazioni fossili la purulenta tumefazione di escrescenze laviche su cui affiora il lividore macabro di una marcescente patina untuosa.

In questo sostrato ctonio della psiche, prigione labirintica dell’anima, in cui l’istinto selvaggio guazza nella mota delle pulsioni primitive, il penoso viaggio catacombale nella terra dei morti viventi, diviene visionaria allegoria gotica di perfide trame mefistofeliche, in cui  aleggianti figure irredente di carnefici zombie, immonde creature mutilate di ogni pietà infieriscono nel cimiteriale delirio dei castighi eterni inflitti nel continente infero, in cui si pigiano le larve degne dell’abisso di una sofferenza senza riscatto, perdute nella violenza disumana della dignità torturata, vinte dal destino esistenziale di una tormentoso esilio, circondate dalla mostruosa cecità di una tenebrosa cattività interiore.

La pervasiva proliferazione di aggrovigliati filamenti contorti, maglie prensili di sensi irretiti nell’ossessione di una reiterata agonia spirituale, che si allunga nell’intricata ragnatela di una snervante coazione a ripetere, manifesta il disturbo emotivo dell’Io contemporaneo, avviluppato nel fitto reticolo di angosciose immagini collettive, nella matassa di nodi impigliati sull’arazzo ramificante di pensieri sepolti sotto penosi sipari esistenziali su cui pesa la caligine della memoria storica, che costringe lo sguardo sulla fobica traiettoria dell’orrore cruento del male.

Perfino al cospetto dell’abbacinante potenza di luce che schiude le porte dell’Ade e scuote la carne decomposta nei sepolcri, addirittura di fronte  la traboccante opulenza della mensa che il mattatoio sanguinolento del Golgota prepara, questa tragica aberrazione ottica della coscienza trafitta dalla religione dell’odio, inquadra il sublime sacrificio dell’ Uomo-Dio nel cono d’ombra di una ferale negazione nichilista, che degenera infine nella grottesca esaltazione di una rovesciata metafisica inferiore, patetico omaggio capovolto al regno pagano dell’oltretomba, governato dalla bestia cornuta.