Note critiche
Seguendo l'itinerario scandito dal progetto espositivo dell'arch. Massimo Muciaccia, la carica evocativa delle opere di Vito Lolli si dispiega nella vastità di un doppio infinito speculare, insieme psichico e cosmico, che proietta la vibrante suggestione degli attributi iconici allegorici oltre la logica dello spazio-tempo in un universo animico eternato dalla sintesi metafisica del Mistero; l'aura attonita di un sottile incantamento pervade le sontuose affabulazioni pittoriche dell'opulenta fantasia immaginifica di Orlando Donadi, che imprime alla vividezza icastica della figurazione il sigillo di uno stile prezioso forgiato al fuoco antico di una sapienza mitica; una conturbante mistica dell'eros infiamma le eroine pagane di Sandro Becucci, vestali in estasi, sorprese nel dolce delirio dell'abbandono contemplativo, sante sospese sull'orlo dell'incipiente rivelazione monoteista, che le farà prede indifese della potente seduzione divina. Completa lo scenario barocco della prima sala la nuvola vaporosa verde-oro che si dipana dallo sfarzoso abito ecologico settecentesco realizzato da Irene Sarzi Amadè, che utilizza carta da regalo per il delizioso bustier a piccoli quadri, plastica da imballaggio e rete di recinzione da giardino per l'ampia gonna arricciata, caratterizzata dall'applicazione imprevedibile di un civettuolo specchio da toletta.
Proseguendo la visita nella Sala dei Portali incontriamo le rutilanti composizioni coloristiche di Alessandra Tabarrani che inscrive le sue squillante composizioni musive in geometrie nitide di superfici lucide e ancora gli inchiostri liquefatti di Valeria Carbone, fluidi emisferi informali che si addensano in modulazioni liquide di variazione atmosferiche; l'elettricità bruciante della folgorazione dello Spirito ardente che arroventa le mie labbra nel ritratto digitale che mi dedica Annibale della Genga e per contrastro la teca di un acquario di tappi di bottiglia, moderno reliquiario della civiltà dei consumi che Maria Antonia Soncini denuncia con la provocazione caustica della sua Trash-art.
La Sala delle Armi è invasa dalla pregnante essenza noumenica della luce che Clelia Cortemiglia trasfigura nell'impianto strutturale di traiettorie convergenti attorno al nocciolo di un disco solare colmo di aurea sacralità; le prove originali di Aldo Celle propongono la creazione di un'opera "una e trina", realizzata costituendo nell'esito ultimativo dell' unità i segmenti dialettici di due opere distinte e separate, ancora visibili da opposte angolazioni nel gioco formale delle parti; Ruggero Lenci traccia minuziose cartografie di agglomerati urbani replicando ossessivamente il lemma segnico delle sue inconfondibili "faccette" con il trasporto febbrile di una "scrittura automatica"; ancora Dina Polidori ricama con raffinata perizia una tessitura soffice, increspatura materica che si apre sulla lastra specchiante della rifrangenza ottica, a generare una mutazione in fieri aperta alla relazione con il riguardante; le sottili provocazioni surrealiste di Rino Fantastico, ambigue metafore dell'assenza si estendono enfatiche nella prospettiva sgombra di un solipsismo interiore; le sospensioni stranianti di Elisa Belardinelli allungano chiome di nature emblematiche e posture di manichini onirici su fonde campiture silenti; la vena estrosa di Lorena Giuffrida si esalta nella manipolazioni dei materiali di recupero che si reinventano in imprevedibili esperimenti polimaterici; e infine flebili movenze di silhouette grafiche si librano evanescenti sulla patina narrativa delle stravaganti impaginazioni di Susi Lamarca.
La fuga prospettica del lungo portico che chiude il percorso della rassegna si ribalta amplificandosi in una giostra di bagliori riflettenti sulla pelle luminosa della superba "Città degli specchi", magnifica installazione archittetonica e scultorea di Edoardo Del beato, che erige un'ara monumentale a cuspide nel fulcro del tempio chimerico dell'invisibile. Sulla parete che corre parallela alla sequenza di vetrate aperte sullo splendido chiostro cinquecentesco la sorprendente pittoscultura della cosmogonia complessa di Maurilio Iembo erompe in globi planetari emergenti oltre il limite imposto dal canone fisico del supporto; si sgrana l'occhio oscuro dell'eclissi totale di Elena Bussotti, che affonda il ciglio aspro della radiazione astrale nella scheggiatura della tenebra fitta; il gaio divertissement di una suadente fantasticheria, ammicca dalla sgargiante favola pop di Eleonora Salvo; nell'intensa impronta espressionista di Francesca Ghizzardi si staglia il dorso riverso della fanciulla caduta nel sonno oblioso della ragione; la ricerca multidisciplinare di Mara Magni tinge di tenui accenti lirici il sortilegio di un orizzonte bifontre trapuntato di citazioni in versi; l'avvicendarsi delle stagioni esistenziali affiora nel timbro metaforico delle assorte meditazioni intimiste che ispirano la cifra melanconica di Tonino Antici.
M.C.S.
Una esperienza visiva irripetibile, Fantasmagorica si conferma l'evento d'arte più significativo dedicato al tema della visione, che il critico Maria Claudia Simotti, approfondisce e promuove con la stessa passione con cui dieci anni or sono lanciava la sfida di una mostra unica nel suo genere: il suo sogno di fondare un museo dell'arte fantastica per far "crescere il genio dell'arte italiana" così come recita la brillante idea grafica del manifesto, potrà forse attuarsi a partire dalla prossima edizione?
Arrivederci a Fantasmagorica 2012...