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Angelo Boni

Fitta macchia liquefatta

Dell'addobbo cerimoniale di una antica ridondanza decorativa che intrecciava al fregio fastoso di pomi turgidi ed erbe larghe il trofeo offerente di teste di capri e bovini, nella lussureggiante opulenza dell’ara imbandita di un tributo sacrificale pagano, resta l'esuberanza ubertosa di una vegetazione squillante nei festoni ornamentali dedicati a Giulio Romano, ondeggianti sul gorgo ristagnante di stinte chine lacrimose, come nastri fronzuti che cingono la nube nerofumo in cui distilla in macchia liquefatta la tenebra di pensose macerazioni.

Oltre le radure di serenanti evasioni e amenità di piane vaghe di spensieramenti, si infittisce la foresta simbolista nell’intrico spinoso di sterpi ritorti, il bosco protende gli aculei di ramificazioni aghiformi, la macchia allaccia il groviglio di liane legnose su bucce di cortecce ruvide irte di roveti , in cui si cifra la contorsione angosciosa di una perlustrazione intima, la matura ricognizione della nemesi di un tormento panico, attraverso le impronte deturpanti dei crimini nefasti perpetrati dall’incuria dell’uomo disumano.

Nell’apice grafico di questo iperrealismo fantastico che esasperando la perizia descrittiva al limite estremo non più perfettibile della rappresentazione ne suggerisce l’alea effimera di sofisticato inganno percettivo, si situa l’esperienza di un surrealismo analitico da cui trapela una verità pittorica di nature vive stagliate sull’indicazione di un umbratile giacimento di misteri. Un potente vitalismo animista acuisce e risolve il contrasto dualista di un’accezione teleologica naturale manichea inquadrando la disfatta di decomposizioni cicliche e la rivincita di rigenerazioni perenni nel cerchio ineluttabile della lotta etica dell’esistente che contende al male gli esiti catartici del divenire.