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RUGGERO LENCI

 

LA FORMA DEL VUOTO

Non soffia su di noi lo spazio vuoto?

Friedrich Wilhelm Nietzsche

E’ lo spirito che si costruisce il proprio corpo.
 

Adolf Loos

 

…sono il vuoto esatto cresciuto 

 sino all’altezza esatta del piacere… 

Alda Merini

  

La potente vocazione metafisica dello spazio scultoreo, coinvolto dalla geniale intuizione heideggeriana  nella disamina del fondamento  ontologico del luogo, avvertito come radicalmente altro rispetto alla sua univoca accezione cosmologica, dalla remota concezione aristotelica dell’ “horror vacui” fino alla rivoluzione compiuta dalla meccanica quantistica,  diviene in Lenci il territorio dell’emergenza di una  rifondazione epistemologica del concetto di vuoto, che imprime al paradigma di una nitida norma stereometrica la mutazione genetica delle varianti sperimentali, conquistando la valenza assertiva e ricapitolare di pura astrazione solida delle proprietà topologiche, antico “vacuum intermixtum” aperto sull’epifania aniconica di plurimi accadimenti della Verità, in un continuum di eventi cogenti estratti dal corpus unitario delle differenziazioni codificate.

 

 

 

L’inseguimento di quella fatidica Teoria del tutto, agognata equazione risolutiva delle leggi fisiche che regolano le interazioni fondamentali della natura, quando non indulge in un ottuso scientismo, fuorviato dall’abuso  dogmatico di un positivismo sterile, che tende ad esaurirsi nell’ accanimento riduzionista dell’applicazione tecnologica, economia utilitaristica di un pedissequo dominio dei fenomeni, apporta un contributo  essenziale all’orizzonte della semiotica della rappresentazione visiva, restituendo all’azione artistica il primato della sua precipua facoltà simbolica, intesa come superamento dialettico dei piani conoscitivi, in un approccio gnoseologico ulteriore che inscrive l’ambito speculativo nell’alveo di una più vasta ed esaustiva ricerca di senso: la scomposizione sintattica di un quantum di densità materica assoluta, divaricata e contratta nella declinazione delle intersezioni dello spazio cavo, che si libera e s’impone come autentico vaso alchemico del plusvalore semantico dell’intera ricerca lenciana, scinde la resistenza dell’aggregazione molecolare nel ventre del prisma a base quadrata, lingotto aureo internamente forgiato dalla mistura arcana che trasmuta la morfologia terrigna della spaccatura irregolare di faglia in proliferazione iterativa di frattali aleatori  generanti l’effetto collaterale di un’ estetica a posteriori, intesa come esito progettuale mai ultimativo, che verifica e rinforza la corretta applicazione del metodo organico.

 

 

 

Lo schermo riflettente di un’apparente fissità uniforme, superato l’intrigo esteriore di una dissimulazione formale, soglia percettiva membranacea, corrusca finitura scivolosa frapposta a interdire una impropria effrazione, scatta nel gesto iniziatico che scardina le segrete viscere di uno scrigno ermetico, allarga le finte pareti dell’infinito introflesso nella vorticosa intercettazione di traiettorie rapinose che scorrono all’interno del nocciolo in un divenire inesauribile, si muove al contatto con la chiave d’accesso criptica, che sgrana le membra metalliche e le rinserra nella morsa del magnetismo bipolare che interagisce in quella inesorabile coincidenza degli opposti intuita da Niccolò Cusano, urna occulta che custodisce l’ansa preziosa in cui si stipa la quintessenza dell’ unione duale del ”mysterium coniunctionis” nella dissertazione junghiana, aureo tabernacolo che accoglie l’ansima volatile del soffio vitale nella concezione del Logos creatore, respiro divino che satura la plaga allargata dell’Universo nella Sacra Scrittura.

 

 

 

Se I tagli di Fontana innestavano la dimensione spaziale sulla tela le  fenditure nette che solcano l’involucro di queste “pietre miliari” quadridimensionali, dislocate sulla cartografia spaziotemporale del continente antropico, mappatura intrinseca metarchitettonica, sono risultanze segniche affioranti dalla compressione del corpo rigido di capsule pneumatiche, estese cicatrici sul polito nitore della pelle lucida che segnalano la crepatura profonda della massa coesa, lacerazioni superficiali che demarcano la frattura interna di una lacuna compatta, spezzature intime che sondano la sostanza animica percorsa dalle correnti psichiche di cesure interstiziali che dissezionano il cuore vivo della materia  scossa da tellurici assestamenti compenetranti.

 

 

 

Così come era interamente affidata alla componente cromatica l’inserzione della terza dimensione sul piano cartesiano in Mondrian, così la sinestesia tattile-uditiva, varco multisensoriale della ragione, introduce in Lenci la quarta dimensione, il diagramma temporale che rilancia oltre la strettoia mentalistica la componente di maggiore carica  emotiva dell’opera lenciana, amplificata dall’incantamento affabulante di una prolungata frequenza attivata dalla manipolazione che sgancia e  ricompatta gli arti meccanici dei monoliti cibernetici: l’emissione monocorde del segnale di diapason proietta il contrappunto della voce dell’Io nella fonda eco numinosa di un etere tonante, sfonda la barriera sonora della volta celeste ancora immersa nella musica matematica delle sfere pitagoriche, per tuffarsi nella dissonanza di un nuovo iperuranio, stabile trono siderale invaso dalla proliferazione delle idee asimmetriche inscritte nel firmamento ridisegnato dai volumi polimorfi,  si amplifica nel sinfonico accordo delle vibrazioni elastiche di astri ondivaghi  nella fitta indeterminazione dispiegata nello scenario aperto da Heisenberg, cassa armonica della fluttuazione del vuoto perturbativo di stringa.

 

 

 

Dall’iperspazio alla particella di Dio, l’irreperibile bosone di Higgs, che ha stimolato il fisico Massimo Corbucci,  a scorgere nel sorprendente vuoto quantomeccanico, buco senza fondo scovato nel nucleo atomico, la ragione profonda della non localizzazione  emersa con l’entanglement, espressione di una generale interconnessione dei granuli,   apre a Lenci l’opportunità di affondare lo scandaglio di questa assonanza concettuale nell’acribia tassonomica degli omeomorfismi correlati,  deformazioni equivalenti senza strappi che imprimono alla cifra più attuale della contemporaneità il segno di  un radicale ribaltamento prospettico, nel verso di una estensiva com-prensione che tiene insieme ciò che attorno si rivela già oltremondo, totalmente altro rispetto alla nostra comune percezione spazio-temporale e  sempre più omogeneamente intrecciato nella trama inestricabile della sua dicotomia costitutiva, composto indissolubile di “falso vuoto”, che irrompe e sovverte gli strumenti da laboratorio, utensili razionali consueti.

 

 

 

Metabolizzare l’assunto filosofico dell’ingenua concezione della scienza come accumulazione progressiva di acquisizioni, già efficacemente contestata da Thomas Kuhn che intuisce la componente non totalmente razionale operante nella soluzione di continuità che genera lo scarto dalla costellazione di assunti teoretici condivisi e innesca la dinamica della rivoluzione scientifica, richiede la sottrazione totale di un azzeramento, tabula rasa della ripartenza che stimola la scelta lenciana di adottare l’obbligo stringente di una autolimitazione metrica nel ritmo della sua scultura poetante: dalla Gestalt al transazionismo l’irrimediabile compromissione dell’esperito empirico, inabile alla conquista dell’oggettività tout court, per non cedere il posto, nell’impresa cognitiva che soggiace alla  progettualità teorematica compositiva, al paradosso auto-referenziale della “luna nel pozzo”, illusione ottica della rifrangenza nel miraggio del Sé, che perde di vista l’obbiettivo dell’agire creativo, deve avvalersi necessariamente della facoltà poetica come unica espressione capace di attingere nello iato delle formulazioni logiche, la sottile intrusione lirica dell’indicibile nel teatro mutevole delle affascinanti incertezze fisiche, sempre più inesprimibili nei canoni logori della “comunicazione di servizio” e  meglio configurabili negli accenti ermeneutici indefiniti e pregnanti della letteratura artistica, filologico esercizio di lectio difficilior per colui che si appaga con acuta arroganza della sicura brevità del proprio metro convenzionale.

 

 

 

Calandosi nell’emisfero ctonio della psiche, nel coacervo inconscio delle pulsioni magmatiche dell’Es, nell’oscuro anfratto ancestrale della prima traccia antropomorfa, la tensione che attanaglia le chele degli organismi lenciani attiene alla scaturigine pulsionale della pratica erotica secondo l’approdo psicoanalitico di Fanti, che porta le opposte entità psicobiologiche, nella cui accentuazione del maschile e del femminile Evola fondava la sua brillante metafisica del sesso, al climax di un  corto-circuito con l’energetica basale del vuoto, fino alla  conversione dell’insopportabile mancanza scavata dall’assenza dell’Altro, in “excessus mentis”, quel dantesco trasumanare che impone alla chiusa valva della finitezza individuale la resa estrema dell’abbandono all’adesione mistica, archetipo di ogni autentica avventura interiore dello spirito attraverso la notte oscura dell’estrema macerazione, fino alla folle discesa nel seno amaro del Nulla.

 

 

 

La violenta irruzione del trascendente nell’algido speco esistenziale causato dalla tragica elisione nietzschiana non può colmare l’asfittica privazione animica col rimedio mitopoietico fornito a buon mercato dall’attività dei neuroni specchio, ma lo genera ab origine nell’architettura concava dell’anima, lenciana radura noumenica insinuata nelle piegature immanenti di una calcografia della rivelazione: dalla nuda grotta della natività alla roccia spoglia del sepolcro vuoto,  la cavità terrena reca l’impronta della corporeità divina, assurge a sigillo metaforico dell’accesso sacro, diviene cunicolo catacombale del raccoglimento, conduce alla zolla edenica intatta dell’hortus conclusus, culla di terra umida in cui si annida il seme dell’Eterno, grembo chiuso del mondo che si apre all’afflato ineffabile del Deus absconditus di Pascal, alla indicibile alterità dell’Uno di Eickhart, alla silente penetrazione del Dio discreto di Guitton, che ha ispirato l’approccio apofatico della teologia negativa: su tutti, locus horridus dell’arte per eccellenza, l’antro lugubre che affonda nella prospettiva aerea del celeberrimo enigma leonardesco della “Vergine delle rocce”, è topos che indica l’atavica dimora inospitale della progenie preistorica, presagio di meraviglia inciso nel primitivo sacello inverecondo della dea madre, aspro rifugio di una religione istintuale della Natura che si svela adombramento prefigurativo del Mistero incarnato nella suprema bellezza della  casta fecondità della Theotòkos, abbacinante miracolo gravido di vuoto.

 

 

 

Appassionante esplorazione della landa deserta di una sconfinata geometria sacra, esegetico simbolo cosmogonico, investigazione ontologica dello spazio-tempo, verità ultima della bellezza, riscatto filosofico dalla caduta nichilista, meta dello scavo introspettivo dello spirito, un ultimo decisivo passo separa questa audace speleologia del profondo dall’abisso salutare, quel folle salto irrazionale che solo potrà risolvere la polarizzazione del “conflitto incontenibile” che tiene in scacco la potenzialità espressiva del Nostro, già condotto dalla seduzione della voragine sotterranea sul precipizio della più alta vertigine capovolta che cattura e sprofonda in una fatale spinta verticale antigravitazionale:  ancora esitante nel riconoscere nella limpida visione  del passaggio dal congegno perfetto dell’oggetto di natura, funzionale alla conservazione autopoietica dei cicli biologici, all’insorgenza della novità imprevedibile della coscienza, l’intelligenza dell’inadeguatezza del puro meccanicismo evoluzionista darwiniano, Ruggero Lenci è indotto a presentire la necessità di una libera “creatio ex nihilo” nella sua traslazione scultorea, che, sulla scia del pensiero ortogenetico di Theilard de Chardin, parafrasando l’assunto materialista delle neuroscienze, è gia vissuta come “epifenomeno dello spirito”.

 

 

Proteso  verso l’ afrore conturbante di un’ effusione  panica, nella partecipazione alla vivida ebbrezza dionisiaca del sentimento oceanico, depurato di ogni eccedenza vitalistica o recrudescenza animista, l’autore organico saprà compiutamente invertire il motto decadente dell’individualismo estetizzante per fare dell’arte un’opera di vita,  prendendo l’abbrivio nel ridiscendere ad illuminare l’asperità umbratile della caverna platonica, affrancato dal simulacro percettivo delle ombre visibili, ostacolo condizionante dell’apparenza di realtà, e potrà avviarsi nella direzione del punto omega, attraverso la transizione alla fase della noosfera, massimo grado di complessità risolto nella olistica interrelazione delle coscienze superiori, corale unificazione delle identità pensanti afferenti alla stessa radice dolente d’umanità carnale primeva che la più intensa poetessa del novecento ha sondato nel vuoto del mondo, eretto a misura perfetta del godimento di Dio.