Le frastagliate scomposizioni oniriche della restrittiva codificazione di una spazialità interstiziale squadrano le sparse scaglie seghettate di campiture acuminate, caricate di fonde tonalità impregnate di sedimenti sabbiosi, che punteggiano l’arazzo variegato di uno sfuggente e transitorio apparato rappresentativo dell’inerte, nell’intercapedine ludica di una reinvenzione dello strumento segnico potenziato dagli effetti di levitazione del deformante magismo geometrico delle cose. Le fantasticherie delle divagazioni surreali evocate dal periodo più simbolico di Chagall, compendiano nella straniante triangolazione di divergenti prospettive sovrapposte all’intersezione di una sintetica traccia scontornante, l’omogeneità ricostruttiva dell’interezza monocroma di una diffusa sacralità di penombre oblique che si allungano nella parziale eclisse dell’astro metafisico introiettato in cui si cela la fisionomia disperante del dolore umano, la cognizione di una ineludibile avversità, l’alone opaco che ritaglia l’aura cupa del cavaliere errante di Cervantes, ammantato dell’oscurità drammatica di un titanico combattimento visionario.